sabato 31 marzo 2018

Delrio: «Tra Pd e Cinque Stelle la distanza è sostanziale»


Monica Guerzoni, Corriere della Sera
31 marzo 2018
Graziano Delrio è pronto al dialogo con i due vincitori, ma sulle riforme e non sulle poltrone. Al Quirinale il capogruppo alla Camera porterà la determinazione del Pd a tenere conto del voto degli italiani: «Non siamo minoranza per scelta o per capriccio, non si può fare finta che il risultato delle elezioni sia stato un incidente».
Di Maio vi rimprovera di sottrarvi alle convergenze. Siete pronti a parlare di governo con il M5S?
«Se per trovare convergenze propongono la flat tax per far pagare meno tasse ai ricchi togliendo risorse a scuole e sanità pubblica, l’argomento è chiuso. E se vogliono cancellare la legge Fornero io dico che è pericoloso, perché minando il sistema rischiamo di non pagare più le pensioni».
Lascerete che nasca un governo Di Maio-Salvini?
«La nostra linea è chiara, vogliamo rispettare il risultato del 4 marzo e su questo siamo d’accordo con Salvini e Di Maio. La democrazia si rafforza quando si rispetta il voto, non tenerne conto invece può essere pericoloso. Non tifiamo per nessun governo con programmi che danneggiano l’Italia».
Continuerete a disertare i tavoli di confronto?
«Ci possiamo sedere sempre, ma mi sembra impossibile che le differenze siano scomparse a venti giorni dal voto. Se siamo seri dobbiamo dire che le distanze programmatiche, tra noi e la Lega e tra noi e i 5stelle, su molti temi sono sostanziali. Non è questione di renziani o non renziani, ma di contenuti».
I vincitori volano nei sondaggi, voi siete fermi. Eppure lei come Renzi pensa che l’opposizione gioverà al Pd?
«Fa bene al Paese una minoranza ricca di proposte per il benessere di famiglie e imprese. Accusarci di immobilismo prima ancora che parta la legislatura è ingeneroso. Dobbiamo fare un’analisi profonda della sconfitta e mettere in campo la nostra agenda programmatica, non possiamo solo contrastare quella altrui. Sulle cose che interessano gli italiani non staremo a guardare, saremo protagonisti».
Intanto M5S e Lega si prendono tutte le cariche. Non hanno ragione Franceschini, Emiliano, Orlando e gli altri che spingono per il confronto?
«La nostra serietà non sia presa per debolezza. Noi abbiamo rifiutato confronti per rispetto alle consultazioni e al ruolo del presidente della Repubblica. Per ora 5stelle e destra sono stati molto abili a spartirsi le poltrone, più che a garantire le regole e il buon inizio della legislatura».
Un pontiere come lei non ha la tentazione di allearsi con il M5S contro la destra?
«Dialogo sempre con tutti quelli che si impegnano a risolvere i problemi, come ridurre le diseguaglianze e aumentare la giustizia sociale. Non abbiamo preclusione al confronto sui temi che aiutano la vita delle persone, ma le loro ricette sono sbagliate».
E se Mattarella vi proponesse un governo di scopo?
«Il presidente troverà nel Pd ascolto, attenzione e la massima collaborazione, come ha deciso all’unanimità la direzione del Pd. Ma io non so cosa voglia dire governo di scopo».
Un governo che fa la legge elettorale, ad esempio.
«Sì, ma quale legge? La politica italiana è ammalata di formule e liturgie, io vorrei che parlassimo di contenuti».
II Pd rischia l’estinzione?
«No, se ripartiamo dai principi e dai valori e ricostruiamo una identità più forte in una società che è cambiata. In questa traversata, che non sarà nel deserto perché abbiamo con noi sei milioni di elettori, dobbiamo giocare un ruolo. Ritroviamo uno slancio partendo dalla sofferenza delle persone e poi vediamo cosa succede».
Renzi esercita un potere di interdizione sul Pd?
«No. Marcucci e io non abbiamo un capo o una società esterna che ci dà ordini. A differenza del M5S il nostro regolamento è aperto alla pluralità, non c’è uno che decide per tutti. Io mi confronto con Matteo sui contenuti e lui, avendo fatto il passo indietro, vuole che il Pd faccia il suo percorso con serenità. Ma è un senatore e non gli si può chiedere di non essere un dirigente del Pd».
Perché allora, sull’elezione dei capigruppo, Martina ha minacciato le dimissioni?
«C’è stato un confronto in un gruppo dirigente allargato e poi il reggente ha fatto la sintesi».
La leadership di Maurizio Martina è stata intaccata?
«Ho governato il Paese per cinque anni e non credo che la leadership si eserciti sulle nomine. Il congresso ha disegnato un’area di maggioranza che va da Martina a Orfini e dialoga con la minoranza. L’unità nella diversità è un valore».
Il Pd sembra già in pieno congresso. Lei si candida?
«Il Pd ha intelligenze migliori e io, anche per ragioni familiari, non sono disponibile».
Gentiloni può essere il traghettatore?
«Non lo so. Non ci serve un capo, ma un orizzonte. Con metafora pasquale direi che dobbiamo lavare i piedi, servire i tanti smarriti in questa società. Io come Grillo sono gaberiano, sono contro le ideologie, ma non si può dire che destra e sinistra non esistano più. C’è una destra nazionalista, cattiva, che divide la società e mette in pericolo la pace. Su questioni sostanziali come la democrazia i 5stelle hanno una visione molto diversa dal Pd, che deve far circolare idee di sinistra».
Non è il caso che si dimetta da ministro?
«Sto chiudendo gli ultimi atti per i territori. Sono pronto».

venerdì 30 marzo 2018

democrazia...quindici su sedici

Graziano Delrio
30 marzo 2018
Abbiamo terminato le votazioni alla Camera dei Deputati per l'ufficio di presidenza. Noi non abbiamo chiesto posti: volevamo che la seconda forza politica del Paese potesse essere rappresentata perché la tutela delle minoranze nelle Istituzioni è garanzia di imparzialità e buon funzionamento. Centrodestra e 5 Stelle hanno deciso di procedere occupando 15 posizioni su 16. Abbiamo un solo rappresentante, e ne siamo molto fieri, ma ci pare che 5 Stelle e Centrodestra abbiano cominciato con il piede sbagliato: questa Istituzione è la casa di tutti, e va rispettata in maniera più seria l'espressione del voto.
Il gruppo del Partito Democratico è rimasto compatto ed unito. Noi discuteremo sempre, ma vogliamo smettere di dividerci e lavorare insieme facendo circolare idee e proposte. La nostra stella polare resta sempre l'interesse del Paese, non siamo interessati ad altro che ad agire nel Parlamento e nel Paese affinché si crei più lavoro e lavoro dignitoso e si combattano povertà e diseguaglianze che purtroppo ancora esistono. Nessuno insiste a stare in minoranza per capriccio, ma perché vogliamo rispettare il voto. E rispettando il voto rafforziamo la nostra democrazia.
E perché la distanza dagli altri partiti sulle cose da fare per il Paese su Europa, pensioni, lavoro e povertà non si sono ridotte in un mese. Siamo distanti nel merito. Non per ripicca. Per serietà. La nostra bussola rimane il documento approvato dalla direzione le scorse settimane. Quella è la "direzione” che il Pd ha scelto unitariamente.

giovedì 29 marzo 2018

Richetti: «Ora le primarie per il leader»

Il Pd può ritrovare il suo popolo solo ripartendo dall’opposizione, con una «traversata nel deserto» e un segretario incoronato dalle primarie. 
Intervista di M. Guerzoni – la Repubblica

«Il Pd rischia l’estinzione» e può ritrovare il suo popolo solo ripartendo dall’opposizione, con una «traversata nel deserto» e un segretario incoronato dalle primarie. E’ la ricetta del senatore Matteo Richetti, pronto a correre per il Nazareno.

Il Pd è fuori dai giochi, o un dialogo con i 5 Stelle sul governo può riaprirsi?
«Sia il M5S che la Lega usano il Pd, per mandarsi i messaggi. Io non mi riconosco nelle letture bizzarre di chi, nel mio partito, dice che gli elettori ci hanno mandato all`opposizione. Noi dobbiamo fare opposizione perché il nostro progetto di Paese è alternativo e incompatibile rispetto a quello di Grillo e Salvini. Come si fa a pensare che il Pd possa condividere un solo giorno di governo con chi vuole l’abolizione della Fornero, il reddito di cittadinanza, o il superamento dell’obbligo delle vaccinazioni?».

Il fronte dialogante del Pd si è arreso?

«Con tutto il rispetto trovo aberrante pensare che, se il M5S non trova i voti della Lega, noi dobbiamo metterci i nostri. La sola idea che una forza politica possa indifferentemente allearsi con noi o con Salvini è la fine della politica come progetto».

L’ostacolo è Renzi?

«No, il M5S che la pone nei termini “liberatevi di Renzi e siete potabili” deve capire che c’è una soglia di dignità e decenza sotto la quale non si va. Renzi si è dimesso davvero. L’elezione dei capigruppo dimostra che il Pd oggi decide in maniera molto libera».

Per placare la rissa sui capigruppo, Martina ha dovuto minacciare le dimissioni.

«Io non ho visto Renzi imporre nomi e non lo vedo imporre la linea politica. Nessuno ancora si è alzato per dire facciamo un governo con Di Maio. Io penso ci sia uno spazio vero per una intesa tra lui e Salvini. Ci dicono, perché non salite anche voi su quell’autobus? Perché va in una direzione pericolosa per l’Italia».

E un governo di scopo?

«Con tutta l’ammirazione e il rispetto per il capo dello Stato, non credo che gli atteggiamenti di responsabilità del Pd si possano tradurre nella partecipazione a un governo. Che lo chiamiamo di scopo, a tempo o di larghe intese, sarebbe sempre politico e ci porrebbe un drammatico problema di coerenza».

Renzi ha segnato un punto sul fronte dialogante di Franceschini e Orlando?

«Nessuno si è spinto a ipotizzare la partecipazione del Pd al governo. Sarebbe residuale sul piano dei numeri e non farebbe fare al Pd la cosa più utile. La traversata nel deserto, una vera e propria ricostruzione del partito».

Orfini è contrario a cambiare lo Statuto, e lei?

«Penso che il premier del Pd non debba mai più fare anche il segretario».

E le primarie?

«Trovo surreale che un pezzo forse maggioritario del Pd dica che le primarie non servono più. E lo strumento con cui abbiamo eletto Prodi, Veltroni, Bersani, Renzi e dato un profilo al partito. Far concludere il mandato della segreteria Renzi con una assemblea senza primarie sarebbe un errore clamoroso. Se vuoi ricostruire dopo il risultato peggiore dal dopoguerra, devi rivolgerti al tuo popolo».

Lei si candida?

«Sabato 7 aprile sarò a Roma con un grande appuntamento all’Acquario Romano, per dare voce a chi voce non ha. Il rischio estinzione del Pd esiste, perché altre forze oggi stanno assumendo le istanze della sinistra. Non possiamo stare fermi, dobbiamo rimetterci in cammino subito».

Il reggente Martina ha deluso i renziani?

«Sta facendo un lavoro generoso per portare il Pd all’assemblea, che dovrà  individuare un segretario con un mandato definito nel tempo per svolgere il congresso».

E Delrio capogruppo?

«È un punto di forza. Una parte del Pd lo vedrebbe candidato alla segreteria, il che dimostra che si sta puntando su profili fortemente unitivi».


martedì 27 marzo 2018

buon lavoro Andrea e Graziano

Andrea Marcucci con Matteo è stato feeling a prima vista sin dai tempi della Margherita quando il sottosegretario dei Beni culturali Marcucci da Barga, provincia di Lucca, conobbe l'allora presidente della Provincia di Firenze Matteo Renzi. Francesco Rutelli trovando del buono in Renzi glielo affidò, raccomandando di farlo crescere politicamente e prepararlo alla sfida delle primarie per sindaco di Firenze dove, contro tutti i pronostici, il giovane Matteo vinse....
Graziano Delrio è un renziano anomalo. Anche lui vanta una familiarità e una amicizia di lunga data con Renzi. Al punto che nella sua rubrica telefonica Matteo è archiviato alla voce Mosè e Graziano ha spesso scherzato sul fatto di autodefinirsi Ietro, il suocero di Mosè. Quando si cercava in tutti i modi di evitare la scissione del Pd, invitò pubblicamente l'ex premier e segretario a mostrarsi flessibile: "Gli parlo da fratello maggiore, deve togliere ogni alibi per evitare la rottura nel partito".

buon lavoro Ale


lunedì 26 marzo 2018

“La dignità dell’opposizione”.


Pierluigi Castagnetti
25 marzo 2018
Si possono interpretare in vario modo i risultati delle elezioni, ma non si può negare che siano chiari.
Almeno per il Pd: gli italiani hanno voluto mandarlo all’opposizione. Può dispiacere, a me dispiace, ma la scelta è stata quella. Colpisce oggi il numero di giornalisti, intellettuali, attori, che si improvvisano esperti politici per suggerire al Pd una lettura meno severa dei risultati, per indurlo a un atteggiamento più morbido e consentire a chi ha detto di aver vinto di potere vincere.
Ma perché tanta attenzione verso il Pd che fino a ieri si è tanto denigrato e osteggiato? 
Perché fa tanta paura l’opposizione?
Il vecchio PCI l’ha fatta per trent’anni con tanta dignità e fede nel futuro, perché dimenticarlo? 
L’opposizione è una delle funzioni tipiche della democrazia, una funzione piena di dignità. Si può fare in modo diverso da come l’ha fatto il M5S nella precedente legislatura, votando pregiudizialmente contro tutto e tutti, si può essere forza di opposizione seria e responsabile che vota a favore dei provvedimenti condivisi, senza rinunciare al proprio ruolo di opposizione.
Suggerirei di rileggere gli interventi di Nino Andreatta capogruppo del piccolo gruppo dei Popolari nella legislatura 1994/96 per capire la dignità e la forza del ruolo di opposizione.
Ricordo ancora quando, da capogruppo di opposizione nel Consiglio regionale in Emilia Romagna, nel 1987 mi sono candidato alla Camera, dopo aver consultato vari amici, fra i quali un mio maestro che mi disse: devi andare perché fra qualche anno la Dc sarà minoranza e si dispererà, perché non saprà che fare, essendosi dimenticata che la democrazia si regge sia sul ruolo della maggioranza che su quello dell’opposizione e, in quel momento, sarà importante che nel suo gruppo parlamentare ci sia qualcuno che spieghi ai colleghi che si fa politica anche dal l’opposizione.
Se si ha dignità. E si hanno idee. Se non si ha nè l’una nè le altre, allora si deve semplicemente cambiare “mestiere”.


lunedì 19 marzo 2018

Bologna, 24 novembre 1950 - Bologna,19 marzo 2002.

La sera del 19 marzo 2002 sono da poco passate le ore 20 quando il professor Biagi, in sella alla sua bici, ha appena percorso il tratto di strada che separa la sua abitazione di via Valdonica dalla Stazione dove, poco prima, è sceso dal treno che da Modena (dove è docente alla facoltà di Economia) lo riporta ogni sera a Bologna.
Sceso dal treno, chiama la moglie e avverte che sta per arrivare, poi inforca la bicicletta e s'incammina verso casa. Di sentinella alla Stazione e lungo la strada che porta al suo domicilio ci sono già due terroristi che seguono i suoi movimenti, avvertendo gli altri complici dei progressivi spostamenti dell'obiettivo.
Alle 20:07 un commando formato da altri tre brigatisti, due a bordo di un motorino ed un terzo (la staffetta) a piedi, lo aspetta di fronte al portone della sua abitazione, al civico 14. I due terroristi che si fanno incontro al professore, e che indossano caschi integrali, aprono il fuoco esplodendo sei colpi in rapida successione in direzione di Biagi, per poi allontanarsi molto velocemente.
Alle 20:15, Biagi muore tra le braccia degli operatori del 118 che sono accorsi sul posto. L'arma utilizzata nell'azione, si scoprì dopo, risultò essere la stessa del delitto di Massimo D'Antona.

sabato 17 marzo 2018

16 marzo...un giorno drammatico

il 16 marzo 1978 il presidente della Dc esce di casa. Alla Camera sta per giurare il primo governo con l’appoggio del Partito comunista. È il suo capolavoro politico. Quella stessa mattina un commando delle Brigate Rosse lo sta aspettando. Così incominciano i 55 giorni più lunghi della nostra storia

lunedì 12 marzo 2018

MATTEO RENZI INTERVISTATO DA ALDO CAZZULLO


Corriere della sera 12 marzo 2018
Renzi, e ora? Si ricandiderà alle primarie?
«Il mio ciclo alla guida del Pd si è chiuso. Sono stati 4 anni difficili ma belli. Abbiamo fatto uscire l’Italia dalla crisi. Quando finirà la campagna di odio tanti riconosceranno i risultati. Ma la sconfitta impone di voltare pagina. Tocca ad altri. Io darò una mano: noi non siamo quelli non che scendono dal carro, semplicemente perché il carro lo hanno sempre spinto. Continuerò a farlo con il sorriso: non ho rimpianti, non ho rancori».
Cos’è accaduto nel Paese? Lei nel 2014 prese 11 milioni e 200 mila voti; ora poco più di sei milioni. Come se lo spiega?
«Di più: siamo passati da 13 milioni di voti del referendum ai 6 milioni di domenica scorsa. Abbiamo dimezzato i voti assoluti rispetto a quindici mesi fa. Allora eravamo chiari nella proposta e nelle idee. Stavolta — e mi prendo la responsabilità — la linea era confusa, né carne né pesce: così prudenti e moderati da sembrare timidi e rinunciatari. Dopo un dibattito interno logorante, alcuni nostri candidati non hanno neanche proposto il voto sul simbolo del Pd, ma solo sulla loro persona».
Qualcuno si è tirato indietro?
«Lei conosce qualcuno che entra in un negozio se persino il commesso dice che la merce in vendita non è granché? Poi ci sono ragioni più profonde. Internazionali: ha letto cosa dice Bannon, il primo ideologo di Trump, sull’Italia capitale del populismo? E nazionali, a cominciare dal disastro nel Sud. Ci attende una lunga traversata nel deserto. Ma ripartire da zero, dall’opposizione, può essere una grande occasione. La politica è fatta di veloci cambi. La sconfitta è una battuta d’arresto netta, ma non è la fine di tutto. Cinque anni fa Pd e 5 Stelle finirono 25 pari. Alle Europee è finita 40-20 per noi. Adesso 32-18 per loro. La ruota gira, la rivincita verrà prima del previsto».
Pensa davvero che se si fosse votato quando l’ha fatto la Francia, a maggio, o la Germania, a settembre, sarebbe cambiato qualcosa?
«Sì, perché sarebbe cambiata l’agenda politica. L’agenda sarebbe stata l’Europa, non altro. Come è stato per Macron o per Merkel. E prima ancora come è stato in Olanda per Rutte. Sull’Europa non avrebbero vinto le forze sovraniste. Ma poiché avevo visto per tempo questo rischio e l’ho illustrato più volte invano, mi sento io il responsabile delle mancate elezioni anticipate. Nessuna polemica con nessuno».
Siamo sicuri che le sue dimissioni siano vere? Come si eleggerà il nuovo segretario, con primarie o in assemblea? Chi sarà? Martina, Delrio? Zingaretti, Calenda?
«Le mie dimissioni non sono un fake. Ho seguito le indicazioni dello Statuto e dunque sul nuovo segretario deciderà l’assemblea. Rispetteremo la volontà di quel consesso. Sui nomi non mi esprimo; anche perché sono tutte persone con cui ho lavorato per anni. Io non parlo male di loro; li rispetto, li difendo. E se qualcuno ha cambiato idea su di me, è libero di farlo. Vedo in giro qualche fenomeno spiegare che abbiamo sbagliato tutto; però non riescono a dirci perché, nelle regioni che governano loro, il Pd è andato peggio della media».
Le consultazioni chi le farà? Lei salirà al Quirinale?
«No. Nelle ultime consultazioni il Pd ha sempre mandato al Quirinale i due capigruppo, il presidente e il reggente. Non vedo motivi per cambiare delegazione».
È vero che è rimasto solo al partito e che sono tutti contro di lei e il Giglio magico? Si sente isolato? Vede casi di ingratitudine?
«Chi dice questo vive in una realtà parallela. Mai come in queste ore il Pd riceve email e richieste di iscrizione. Nel popolo Pd la stragrande maggioranza sta sulla nostra linea: nessuno vuole fare l’accordo con gli estremisti. Altro che Giglio magico isolato. Qualche dirigente medita il trasformismo? Forse. Del resto la viltà di oggi fa il paio con la piaggeria di ieri. E se per caso in futuro dovessimo tornare, sarebbe accompagnata dall’opportunismo di domani. I mediocri fanno sempre così: hanno scarsa fantasia, i mediocri. Ma il nodo non è il dibattito interno. Capisco sia importante il nome del nuovo segretario; ma è più importante il nome del nuovo premier. Tutti parlano di noi, nessuno parla della crisi istituzionale in cui ci troviamo».
Parliamone. Sarà difficile sbloccarla se il Pd si chiama fuori.
«E che c’entra il Pd, scusi? Ci sono due vincitori ma non c’è maggioranza. Qualcuno ammetterà che con il No al referendum è difficile dare un governo stabile al Paese? Scommetto che tra qualche mese il tema della riforma costituzionale tornerà centrale. Forse qualche settimana».
Molte personalità della sinistra vi sollecitano un dialogo con i 5 Stelle. Perché rifiutare? E se Di Maio indicasse per Palazzo Chigi una personalità a voi non ostile?
«Non esiste governo guidato dai 5 Stelle che possa ottenere il via libera del Pd. Non è un problema di odio che i grillini hanno seminato. E non è solo un problema di matematica, visto che i numeri non ci sono o sarebbero risicatissimi. I grillini sono un’esperienza politica radicalmente diversa da noi. Lo sono sui valori, sulla democrazia interna, sui vaccini, sull’Europa, sul concetto di lavoro e assistenzialismo, di giustizia e giustizialismo. Abbiamo detto che non avremmo mai fatto il governo con gli estremisti, e per noi sono estremisti sia i 5 Stelle che la Lega. L’unico modo che hanno per fare un governo è mettersi insieme, se vogliono».
Crede davvero che Di Maio e Salvini potrebbero allearsi?
«Hanno il diritto e forse il dovere di provarci. I sovranisti hanno lo stesso programma su vaccini, Europa, immigrazione, burocrazia, tasse. Facciano il loro governo, se ci riescono. Altrimenti dichiarino il loro fallimento. Noi non faremo da stampella a nessuno e staremo dove ci hanno messo i cittadini: all’opposizione».
Una possibilità sarebbe far nascere con l’astensione un governo di centrodestra guidato da una figura meno estremista di Salvini. O no?
«No».
Il richiamo di Mattarella e Draghi al senso di responsabilità potrebbero portarvi a fare un governo di unità nazionale?
«Noi purtroppo siamo il quarto gruppo parlamentare, non più il primo: gli appelli alla responsabilità sono sempre utili, ma si rivolgono soprattutto ai gruppi più grandi. La palla oggi è in mano alle destre e ai 5 Stelle. Vediamo se e come sapranno giocarla».
Le elezioni anticipate sono un’opzione?
«Secondo me nessuno dei due schieramenti vincenti vuole tornare a votare. Prenderebbero la metà dei parlamentari che hanno adesso. Leghisti e grillini sono i più convinti che questa legislatura debba durare 5 anni. Umanamente comprensibile, sia chiaro».
Gli scissionisti ora potrebbero rientrare nel Pd?
«Lei si rende conto che per mesi abbiamo parlato solo degli scissionisti, e loro hanno preso meno consensi che Vendola 5 anni fa o Bertinotti 10 anni fa? Hanno avuto più articoli sui giornali che voti nei seggi. E ne parliamo ancora?».
Rimpiange di essere andato a Palazzo Chigi senza passare dalle elezioni? E di non essersi ritirato dalla politica dopo il referendum?
«Non ho rimpianti. Penso che abbiamo fatto bene a fare l’operazione-Palazzo Chigi nel 2014; altrimenti lo tsunami populista sarebbe arrivato con le Europee anziché con le politiche. Oggi il Paese può reggere anche mesi di discussioni tra Di Maio e Salvini, perché l’economia sta molto meglio. Ha visto quelli che in queste ore fanno la fila per avere il reddito di cittadinanza ai Caf? Ci sono anche quelli che si chiedono quanto tempo impiegherà Salvini a cancellare la Fornero o fermare quella che lui ha demagogicamente chiamato l’invasione o fare la tassa unica al 15%. Sono cittadini che chiedono ai leader di rispettare le promesse delle elezioni. Bene. Erano proposte irrealizzabili, ma adesso saranno loro a doverci mettere la faccia».
E lei ora cosa farà?
«Il senatore. Sono tra i pochi nel Pd ad aver vinto nel proprio collegio. Chi mi conosce davvero non ha di me un’immagine sporcata dalle polemiche. La mia gente sa chi sono; intendo onorare il loro affetto».
Il senatore di Scandicci, Signa, Lastra a Signa e Impruneta? Non ci crede nessuno.
«Fare il senatore della mia terra sarà un grande onore. E io a 43 anni se mi guardo indietro devo solo dire grazie. Perché abbiamo fatto tante cose. Abbiamo anche sbagliato, certo. Ma meglio vivere che vivacchiare, meglio sbagliare talvolta che rimandare sempre. Quanto al futuro, chi ha corso una maratona sa che è importante avere la gamba giusta e il fiato; ma che soprattutto serve la testa. Ci attende una maratona: prendiamola con il passo giusto. Abbiamo gambe, fiato e testa. Ho guidato per 5 anni la mia città, per mille giorni il mio Paese. Ho portato il mio partito a essere il più votato in Europa e grazie a questo risultato abbiamo vinto la battaglia della flessibilità a Bruxelles. Adesso si apre una pagina nuova».
Potrebbe fondare un suo partito?
«Di partiti in Italia ce ne sono anche troppi. Io sto nel Pd in mezzo alla mia gente. Me ne vado dalla segreteria, non dal partito».

mercoledì 7 marzo 2018

una storia infinita


Matteo Renzi
6 marzo 2018
Le elezioni sono finite, il PD ha perso, occorre voltare pagina. Per questo lascio la guida del partito. E non capisco le polemiche interne di queste ore.
Ancora litigare? Ancora attaccare me?
Nei prossimi anni il PD dovrà stare all'opposizione degli estremisti. Cinque Stelle e Destre ci hanno insultato per anni e rappresentano l'opposto dei nostri valori. Sono anti europeisti, anti politici, hanno usato un linguaggio di odio. Ci hanno detto che siamo corrotti, mafiosi, collusi e che abbiamo le mani sporche di sangue per l'immigrazione: non credo che abbiano cambiato idea all'improvviso.
Facciano loro il governo se ci riescono, noi stiamo fuori.
Per me il PD deve stare dove l'hanno messo i cittadini: all'opposizione. Se qualcuno del nostro partito la pensa diversamente, lo dica in direzione lunedì prossimo o nei gruppi parlamentari.
Senza astio, senza insulti, senza polemiche: chi vuole portare il PD a sostenere le destre o il Cinque Stelle lo dica. Personalmente penso che sarebbe un clamoroso e tragico errore. Ma quei dirigenti che chiedono collegialità hanno i luoghi e gli spazi per discutere democraticamente di tutto.
Quanto a me: leggo di tutto, ancora una volta.
Qualcuno dice che le dimissioni sarebbero una finta, qualcuno che starei per andare in settimana bianca. Le dimissioni sono vere, la notizia falsa.
Mi stupisce che certe cose diventino l'apertura dei siti, emozionino le redazioni, intrighino i giornali. Parlare di me - ancora - è inspiegabile. Sono altri, adesso, a guidare il Paese: occupatevi di loro, amici dell'informazione. Io ho già detto cosa farò: il parlamentare semplice, cercando di rappresentare al meglio quei cittadini che mi hanno onorato della loro fiducia e tenendomi in contatto con le tante esperienze belle che vivono nella nostra società. Lo farò con il sorriso e lo farò con la consapevolezza di dover dire solo grazie per questi anni bellissimi: nessuno ci porterà via i risultati straordinari raggiunti. E cercherò di fare del mio meglio per il mio Paese anche dall'opposizione.
Basta polemiche, viva l'Italia.
E buona giornata a tutti.

martedì 6 marzo 2018

UN DETTAGLIO: IL CAMINETTO

Pierluigi Castagnetti
6 marzo 2018
Non commenterò (per ora, e per rispetto della Direzione nazionale del Pd che si riunirà lunedì prossimo) il disastroso risultato elettorale di domenica scorsa. E poi chi sono io?, se non un semplice iscritto ed elettore del partito.
Mi limito ad una osservazione controcorrente.
Dei 3 NO finali della conferenza stampa post elettorale di Renzi non condivido quello relativo ai caminetti. Com'è noto il termine venne coniato per descrivere gli incontri dei capi corrente all'interno della Dc, dove peraltro non si discuteva quasi mai o comunque non prevalentemente di distribuzione del potere interno. Nel Pd non ci sono correnti organizzate (così come le conoscevamo nei grandi partiti popolari e pluralisti), ma il pluralismo delle sensibilità e delle esperienze fortunatamente c'è - o dovrebbe esserci - ancora. E, sempre per fortuna, è cambiato anche il lessico, non si parla più di ditta, ma di comunità. Ma come si fa a costruire una comunità se non ci si parla più se non attraverso le interviste alla stampa. Una comunità è, per definizione, una famiglia, un luogo in cui si fa esercizio e ci si educa non solo alla convivenza, ma alla condivisione e alla reciproca solidarietà. Purtroppo i partiti moderni hanno luoghi di decisione troppo larghi fatti di centinaia di persone che spesso non si conoscono neppure tra loro.
E, allora, dov'è lo scandalo se si crea un luogo più ristretto in cui i dirigenti più rappresentativi, portatori di esperienze e sapienze diverse, di tanto in tanto si incontrano per discutere - anche in modo riservato - dei problemi del paese e del partito e, perché no, costruire il consenso attorno alle decisioni più difficili e delicate. Non si tratta di mettere in discussione le prerogative decisionali del segretario, ma di arricchirle di intelligenza lungimiranza e responsabilità .
Conosco già la risposta: per discutere ci sono i luoghi preposti, ma quei luoghi - come ho già detto - non consentono lo stesso grado di informalità, familiarità e confidenza. Quando ci si parla "al microfono" tutto questo non è realizzabile.
Una comunità è fatta anche di più intima e reciproca conoscenza personale e di riservatezza. Non è un caso se questi elementi oggi sono ricercati persino all'interno di esperienze professionali e aziendali. Senza "confidenza" vera, cioè fiducia reciproca non si governa un bel niente.
Ricordo Ermanno Gorrieri che, nella prima legislatura regionale in Emilia Romagna aveva affittato una foresteria per consentire ai consiglieri di stare insieme almeno due giorni la settimana, per "convivere", cioè lavorare, studiare, discutere, pranzare insieme, per costruire comunità, appunto, sulla scia dell'esperienza di Adriano Olivetti, senza che ciò provocasse una riduzione della sua leadership e della sua autorevolezza, anzi il contrario.
È ovvio che oggi non si può arrivare a tanto.
Ma l'unità di un partito, in un tempo in cui non ci sono più ideologie che garantiscano il senso di appartenenza, va costruita, non pretesa.
Mi si dirà che il mio è un discorso antiquato e nostalgico. Può darsi, ma sicuramente non è il mio spirito.
Io sono una persona anziana che, rompendo anche con amici di una stagione passata, si è sempre sforzata di capire e di aiutare, con il silenzio e la parola (se richiesta), il nuovo corso del tempo, al punto da ritenere che per il Pd sia giunto il tempo di un coraggioso ricominciamento, guardando avanti e non indietro (pur essendoci
nelle esperienze passate materiali interessanti anche per oggi).

venerdì 2 marzo 2018

UN VOTO IN PIU’ A GIORGIO GORI

Giuseppe Adamoli
2 marzo 2018
La corsa per la presidenza della Regione è esclusivamente fra GIORGIO GORI del centrosinistra e ATTILIO FONTANA della Lega di SALVINI. Partita secca fra i due, fra innovazione e stagnazione in una Regione che ha grande bisogno di nuova efficienza.
Vince chi prende un voto in più ma NON TUTTI LO SANNO.
L’errore più comune è ritenere che le alleanze per il governo regionale si faranno una volta chiusi i seggi come a livello nazionale.
Altro errore ricorrente è credere che se nessuno otterrà il 50% ci sarà un secondo turno come nei Comuni.
Due errori che dobbiamo contrastare.
Il voto decisivo è quello di domenica senza esami di riparazione.
INDISPENSABILE UN VOTO PER GORI PRESIDENTE per cambiare, per migliorare, per ritornare fra i motori d'Europa.