venerdì 27 ottobre 2017

Ricordo di Pietro Scoppola a 10 anni dalla morte


La repubblica 26 ottobre 2017
Dieci anni fa moriva Pietro Scoppola (1926-2007), un protagonista del dibattito culturale per oltre mezzo secolo. Uno storico poliedrico, attento alle dinamiche e alle inquietudini della società contemporanea, attratto da sfide su terreni inesplorati spesso al crocevia tra lo studio e la passione civile. Un intellettuale di riferimento dell'Italia
della seconda metà del novecento, esponente di punta del cattolicesimo democratico anche se il suo itinerario mal si combina con le tradizionali forme di appartenenze o identità: figura originale e per molti versi difficile da collocare nelle appartenenze politiche e culturali che hanno caratterizzato il lungo dopoguerra della Repubblica. La distanza dal suo mondo è molto più ampia del tempo che ci separa dalla sua scomparsa. Basta uno sguardo, anche fugace, alla politica, all'università, alla cultura dominante, al linguaggio degenerato e volgare che ci circonda: il suo mondo sembra svanito, inghiottito in pochi anni nelle dinamiche di un nuovo racconto dai confini e dagli approdi ancora indecifrabili.
Eppure a ben guardare, al di là delle apparenze che spesso ingannano, molti nodi della sua riflessione sono ancora presenti, molti spunti ancora sul tappeto e il rischio principale rimane quello di perdere di vista la dimensione storica delle trasformazioni più recenti. Un ammonimento che rimane stringente nella sua attualità. Anche nel pieno della crisi italiana, lo storico (preferiva l'espressione «studioso di storia») intravedeva (o forse auspicava) la possibilità e la necessità di non scivolare nelle semplicistiche letture del catastrofismo facile o del rimpianto diffuso per i bei tempi andati. Guardare alla lunga durata dei processi, cercare nel metodo storico nuove possibilità per comprendere i tortuosi sentieri delle società contemporanee segnate «dalla crisi profonda delle forme storiche della democrazia ». Una tensione continua che ha attraversato fasi diverse della sua vita segnando temi e questioni delle sue ricerche più vitali: dal movimento cattolico nelle sue tante forme alla presenza religiosa nell'Italia post unitaria, dalla Chiesa nel ventennio alla Carta costituzionale, dai discorsi di Cavour su Roma capitale alla proposta politica di De Gasperi, dalle dinamiche contraddittorie della democrazia alle caratteristiche del sistema politico post bellico fino alla terribile cesura politica ed esistenziale della vicenda Moro.
Dopo l'esperienza di senatore della Repubblica, aveva proposto una sintesi dell'esperienza repubblicana in un volume fortunato il cui titolo, La Repubblica dei partiti, è diventato un'espressione diffusa per riassumere il cammino di decenni segnati dalle eredità della seconda guerra mondiale e dal successivo protagonismo dei partiti di massa. Rifiutava la dizione ambigua di Seconda Repubblica preferiva il senso di un processo unitario da indagare e ricostruire nella sua lunga complessità. Contrario a concezioni finalistiche della storia, attratto dalla unicità e dal valore della persona umana. Nell'ultima fase della sua vita aveva lanciato grida di allarme sullo stato del Paese, sugli effetti della cesura apertasi con la fine degli anni Ottanta, tra il crollo del muro di Berlino e la crisi del 1992: cercare una strada per uscire dal catastrofismo senza speranze o dalle facili rassicurazioni proposte dai vincitori. Una voce inascoltata, un lascito che non si è esaurito.

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