giovedì 9 marzo 2017

Renzismo 2.0: dalla fase “garibaldina” alla costruzione del partito-comunità


Andrea Romano
L'Unità 9 marzo 2017
E’ chiara l’intenzione di aprire una nuova stagione nella proposta politica e culturale del renzismo
L’appuntamento del Lingotto permette di collocare il “renzismo” in prospettiva storica, guardando da una parte alle tappe più recenti che hanno condotto il PD dove si trova oggi e dall’altra alle principali innovazioni che si annunciano nel profilo politico della proposta di Matteo Renzi. Per quanto non sia una pratica molto diffusa, persino all’interno della comunità PD, giova sempre ricordare cos’è accaduto nella sinistra italiana negli ultimi cinque anni. E dunque il voto legislativo del 2013, con la “non vittoria” di Pierluigi Bersani, i tre milioni e mezzo di voti persi dal 2008, l’incombere di uno stallo drammatico nella vita politica e istituzionale del paese dinanzi sia all’assenza di una chiara maggioranza parlamentare sia all’emersione della forza rabbiosa e distruttiva dei Cinque Stelle. Un incrocio che produsse in tempi rapidi la caduta della segreteria Bersani e l’avvio di una fase di governo di carattere insieme trasversale ed emergenziale, mentre un PD tramortito guardava al proprio interno e intorno a sé per capire quale (nuova) strada percorrere.
La leadership di Matteo Renzi si afferma in quel contesto, rispondendo ad un bisogno radicale che era insieme di discontinuità e direzione avvertito a tutti i livelli del partito. E quella leadership, per come si era costruita negli anni precedenti, aveva in quel momento l’aspetto insieme “garibaldino” e “pratico” del giovane sindaco di una grande città che si era candidato a ribaltare il PD e la sua percezione pubblica. Da qui la centralità che nell’azione di governo fu data immediatamente alle “cose da fare” – e da fare subito, con l’urgenza avvertita da gran parte del paese oltre che dalla politica – e insieme il rinvio ad un secondo e successivo momento della costruzione dei contenuti culturali e organizzativi dell’innovazione che Renzi e il renzismo avevano portato con sé nel Partito democratico.
Anche solo guardando alla sintesi della proposta programmatica della candidatura di Renzi a queste nuove primarie, oltre che al programma del Lingotto, si avverte con chiarezza l’intenzione di aprire una nuova stagione nella proposta politica e culturale del renzismo. Non si tratta tanto della sconfessione delle cose fatte – perché al netto di insufficienze che pure vi sono state sarebbe velleitario (e persino fantasioso) pretendere che il Partito Democratico non si consideri e non sia percepito come la forza politica che ha concretamente guidato l’Italia dal 2013 in avanti – quanto piuttosto della volontà di allargare e consolidare le basi per l’appunto culturali e organizzative del renzismo.
Un segnale molto significativo, da questo punto di vista, è lo spazio dedicato al tema del partito sia nelle linee programmatiche sia nella stessa organizzazione dei lavori del Lingotto, con un seminario riservato a quello che è stato forse l’argomento più negletto in questi ultimi anni di vita del PD. L’esigenza di ripensare le forme organizzative del partito appare insieme un’urgenza dettata dai fatti, in quella che appare la stagione della massima delegittimazione della politica, e una risposta alla necessità di dare respiro, solidità e persino protezione all’innovazione radicale di linguaggi e contenuti venuta con la leadership di Renzi.
Un buon metodo per il futuro, dove il rilancio della nostra proposta politica non sia concepito solo come orgoglio per le cose fatte ma anche e soprattutto come la costruzione di un condominio (politico, organizzativo e culturale) più solido sulle basi nuove che sono state poggiate nella rocambolesca stagione del 2013-2014.

Nessun commento:

Posta un commento