lunedì 20 febbraio 2017

Nostalgia canaglia della Prima repubblica: tornano Pli, Msi e pugni chiusi


Mario Lavia
L'Unità 20 febbraio 2017
Torna la proporzionale. Occhetto: “Rischio conflagrazione per il Pd”
“Un numero così alto di liste non si vede neppure al Carnevale di Rio“, disse Bettino Craxi nel 1992. Quando il sistema politico si sbrindellava sotto i colpi della questione morale e del moltiplicarsi di liste e listarelle, effetto esasperato del proporzionale, all’epoca senza sbarramento. Proiezione elettorale di localismi, potentati, leaderismi, purismi ideologici.
Ora, un quarto di secolo dopo, ci risiamo.
Sui muri del centro di Roma sono apparsi dei manifesti del Pli – Partito liberale italiano – sconosciuto nipotino dell’antico e glorioso Pli di Giovanni Malagodi. L’operazione degli ex giovani neri Alemanno e Storace –  il Movimento nazionale per la sovranità – occhieggia nostalgicamente all’MSI, dove resta la dizione “Movimento” e la “s” sta per “sovranista” (aggettivo tanto di moda) e non per “sociale” come nel partito di Giorgio Almirante.
Persino i nuovi gruppi parlamentari bersaniani pare si chiameranno Nuova sinistra: forse non se lo ricorda nessuno, ma Nuova sinistra unita fu un cartello elettorale di estrema sinistra presentatosi alle politiche del 1979 che voleva far riunire tutti i partiti alla sinistra del Pci, una proiezione elettorale (sfortunata) di Democrazia proletaria che non elesse nemmeno un deputato.
Sì, c’è qualcosa di nuovo nell’aria, anzi, di antico. Come se la crisi della Seconda repubblica non schiudesse le porte alla Terza ma le spalancasse alla Prima. Tornano bandiere rosse e pugni chiusi e non ci sarebbe da meravigliarsi se rispuntassero edere, rose nel pugno, garofani, scudi crociati e persino soli nascenti (la falce e martello è già di Paolo Ferrero).
E’ il proporzionale che suscita l’esplosione del sistema politico, tanto quanto, per converso, il maggioritario aggrega.
Ecco perché proprio stamane Achille Occhetto, fautore del maggioritario quando la sinistra era ancora proporzionalista nel midollo, ha parlato di “conflagrazione” del Pd: perché si aspetta, nell’Italia post-4 dicembre (perché lo spartiacque è quello), un’esplosione di pezzi e pezzetti ciascuno geloso della propria autonomia e soprattutto custode della propria nicchia elettorale, locale, corporativa o addirittura personalistica. Con tanti saluti al cammino ventennale che, appunto, va dalla Bolognina dell’89 al Pd del 2007 passando per l’Ulivo.
Il punto è esattamente questo. E’ che una parte dei leader della sinistra italiana (il nome che viene facile è quello di Massimo D’Alema) ha sempre considerato il Pds, l’Ulivo e il Pd come meri strumenti tecnici e organizzativi per superare questa o quella crisi e non come una acquisizione politica e culturale sempre più avanzata. Ecco perché l’Ulivo non resse, ecco perché l’amalgama non era riuscito, ecco perché il Pd di Renzi va spaccato.
D’altra parte, guardiamo cosa già sta succedendo a sinistra del Pd. In pochi giorni sono nati Sinistra Italiana di Fratoianni, il gruppo di Arturo Scotto (scisso da SI), il Campo progressista di Pisapia, il nuovo partito bersanian-dalemiano, forse una “Cosa” meridionalista di De Magistris e, chissà, Emiliano, poi c’è sempre Possibile di Civati, e magari torneranno i Verdi, e chissà che succederà ai radicali, divisi fra i boniniani (Cappato-Magi) e il partito transnazionale di Maurizio Turco. E in questo quadro, si potrà negare una autonoma presenza repubblicana o socialista? E Maurizio Landini?
Ugualmente ci sarà un fiorire di liste centriste, una galassia già esplosa con l’esaurirsi dell’esperienza di Scelta civica di Mario Monti e con l’ennesima spaccatura del centro cattolico fra Casini e Cesa, ultimo capitolo di una saga infinita che dalla morte della Dc non ha mai conosciuto fine. E che anzi è andata intrecciandosi con la crisi della “vecchia” Forza Italia – dall’Ncd a Ala, è stato tutto un fabbricare piccoli alambicchi politici e di potere, microgruppi sul mercato parlamentare buoni a tutti gli usi. Qualcosa di più confuso dell’antico trasformismo.
Il pulviscolo di partiti e sigle elettorali pertanto destinato ad infittirsi. La soglia di sbarramento del 3% non è insormontabile. E dunque, ci si può provare.
Di fronte a tutto questo, Matteo Renzi ha puntato tutto sul referendum costituzionale e ha perso. Forse le fiches doveva metterle più sul maggioritario che sul Senato o sul Cnel. Ieri però ha citato, anche se en passant, la necessità di “una legge elettorale di impianto maggioritario” e Walter Veltroni ha ripreso la formukla del partito a vocazione maggioritaria “che fa alleanza”, una concezione più dinamica della”suo” Pd del 2008.
Non è detto, insomma, che moriremo proporzionalisti. Altrimenti, benvenuti al Carnevale politico del 2017.

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