lunedì 29 febbraio 2016

La crociata del Fatto contro l’airbus di Renzi. Arruolato un-ricercatore-uno


Fabrizio Rondolino
L'Unità 29 febbraio 2016
Paradossale teoria di un certo Barison: niente aerei di Stato per favorire i più poveri
Da settimane, lo sappiamo, il Fatto conduce un’eroica battaglia contro il nuovo aereo di Stato, colpevole di essere troppo grande, troppo bello (c’è anche il wifi, pensate un po’!) e, soprattutto, troppo renziano.
Il presidente del Consiglio è infatti autorizzato a recarsi all’estero – al momento Travaglio non sembra sollevare obiezioni su questo punto -, purchè non pretenda di scimmiottare gli altri capi di governo, i quali viaggiano su aerei di Stato con l’unico obiettivo di fare un dispetto al Fatto.
“Air Force Renzi, ecco i misteri. I ricercatori: I soldi dateli a noi” è il titolo che compare oggi in prima pagina, e più dei misteri, che sul Fatto non mancano mai e di misterioso hanno soltanto il motivo per cui sono considerati “misteri”, ci hanno incuriosito i ricercatori: d’accordo, la ricerca in Italia è da sempre una Cenerentola, ma possibile che per rilanciarla sia necessario far viaggiare il premier in autostop?
I “ricercatori” citati nel titolo non sono un sindacato e neppure un gruppo di amici o un dopolavoro, ma un singolo: tal Barison Marcello, “filosofo”, oggi impiegato a Chicago.
Diversamente da quanto indicato nel titolo di prima pagina, Barison i soldi non li vuole per sè ma – dev’essere proprio un tesoro di ragazzo – per “coloro che vivono sotto la soglia di povertà, cioè quasi otto milioni di persone”. Che diventerebbero di colpo benestanti se “Renzi e la sua cricca” rinunciassero all’aereo.
Tanto più che, aggiunge il filosofo, “i suoi continui viaggi servono a creare l’illusione di essere qualcuno, di avere un ruolo internazionale che nei fatti non esiste”. E se lo dice Barison Marcello, che sta a Chicago, dev’essere per forza vero.
Renzi non è nessuno, ma Barison Marcello è qualcuno, e per dimostrarlo mette in fila una di quelle gioiose sequenze di parole che da ormai mezzo secolo qualsiasi studente fuoricorso di sinistra è in grado di generare a qualsiasi ora del giorno e della notte a proposito di chiunque e qualsiasi cosa. Sentite come suona originale e inatteso, questo Debord per sciampiste: “Il premier, vivendo in un universo parallelo, ha in mente solo la celebrazione del proprio feticcio. E’ l’oscena indifferenza del potere che narcisisticamente celebra se stesso”.
E se lo dice Barison Marcello, che sta a Chicago, dev’essere per forza vero.

Trump, pericolo per tutti noi


Walter Veltroni
L'Unità 28 febbraio 2016
Battute oscene, proposte assurde. Eppure il consenso cresce: il magnate fornisce voce a sentimenti profondi che si fanno strada in tutto l’Occidente
Mentre il nostro paese sembra impegnato – colonne di pagine dei giornali, televisioni, siti invasi e mobilitazione dell’Accademia della Crusca – dal decisivo tema della possibilità che venga introdotto o no il termine “petaloso” , inventato da un creativo bambino, nei nostri vocabolari , il mondo rischia di precipitare in una avventura senza ritorno. Donald Trump sta scalando le vette dei sondaggi sul prossimo candidato repubblicano alle elezioni presidenziali del 2016. Sta sbaragliando i suoi avversari usando un armamentario retorico che ci è ormai noto : l’essere un imprenditore che si è fatto da solo, il proporre soluzioni disumane per il fenomeno della migrazione, l’insultare le donne. Il tutto condito da un linguaggio estremo, dalla totale indifferenza per ogni coerenza e praticabilità reale delle proposte». Con queste parole, in un editoriale di fine agosto dell’anno scorso, quando tutti ironizzavano su Trump, cercavo di richiamare l’attenzione su quello che stava accadendo nella più importante democrazia del globo. Vorrei tornarci oggi, visto che quella profezia si sta tragicamente avverando.
Trump sta dominando le primarie , in beffa agli osservatori radical chic che alzavano il sopracciglio immaginando che ,come è sempre avvenuto nella storia americana, gli estremismi fossero costruzioni alla periferia dell’impero. Trump dice nefandezze che , secondo lo schema del politicamente corretto, avrebbero dovuto condurlo al totale isolamento politico e morale . Invece Trump cresce. Se Papa Francesco richiama alla disumanità della proposta del candidato repubblicano riguardante i muri contro gli immigrati, Trump vola nei consensi. Se il magnate dice, sempre a proposito dei migranti, «non possiamo farli entrare. Sono un cavallo di Troia. Abbiamo già troppi problemi. Angela Merkel ne ha accolti un milione? Che si vergogni», i suoi voti aumentano.
Se si scaglia violentemente sulla sua avversaria democratica dicendole: «Se Hillary Clinton non sa soddisfare suo marito, cosa le fa pensare saprà soddisfare gli americani?», gli elettori applaudono entusiasti. Se in tv prende in giro un giornalista disabile, insulta una cronista che gli ha fatto domande che non ama, e minaccia di picchiare un solitario contestatore, il suo consenso si impenna. Possiamo distrarci un attimo dal terribile dilemma su “petaloso” per cercare di capire cosa sta avvenendo nel profondo della coscienza del civile popolo di uno dei pochi paesi che non ha mai conosciuto, in tutta la sua storia, dittature di nessun colore? Cosa è successo in pochi anni perché la nazione che ha eletto Obama volgesse il suo sguardo verso il peggio del peggio, la demagogia populista di un miliardario reazionario che si erge a paladino dell’antipolitica?
Attenzione a valutazioni semplicistiche , come quella che spiega il successo di queste posizioni con il presunto fallimento della presidenza democratica. Non sono d’accordo, personalmente. Obama ha affrontato la più grave crisi economica della storia del dopoguerra americano e ne ha fatto uscire il suo paese. Ha approvato una coraggiosa riforma sanitaria, ha capovolto la politica di Bush nei confronti dell’Islam, ha favorito una politica di distensione verso l’Iran, ora corrisponde alla promessa di chiusura di Guantanamo, si prepara ad uno storico viaggio a Cuba. Ha sfidato le lobby dei costruttori di armi e il consenso degli utilizzatori , ha difeso un’idea civile del governo dei fenomeni migratori. Il tempo e la storia si incaricheranno di rendere ad Obama il ruolo che gli spetta. E se esitazioni ed errori ci sono stati, come nell’atteggiamento verso il caos nel mondo islamico, essi non possono essere certo rimproverati da chi, come l’Europa, non ha fatto altro che disinteressarsene.
Dunque se Trump cresce non è per colpa di Obama. Sarebbe una analisi frettolosa e riduttiva. Il magnate candidato fornisce la sua voce a sentimenti profondi che si fanno strada in tutti gli elettorati dei paesi occidentali. Al fondo, mi si consenta di dirlo con nettezza, c’è il desiderio di nuovi autoritarismi. È inutile che ci giriamo intorno. In molti paesi cresce, in ragione delle difficoltà della democrazie e delle colpe di partiti politici senza anima e ragione, un desiderio di semplificazione, di riduzione drastica della inevitabile complessità dei processi decisionali delle istituzioni. Il populismo è cresciuto, ovunque, anche per effetto del conservatorismo ottuso di chi non ha compreso che la democrazia deve innovare se stessa per inverarsi nel suo tempo storico e che per salvarsi deve accentuare le sue capacità di decisione esecutiva e di controllo parlamentare. Ovunque si volga lo sguardo, in Occidente, si trovano fenomeni analoghi. Basti pensare che, nel paese di Mitterrand, il primo partito è quello di Marine Le Pen. Quello che sto cercando di dire è che mi sembra assurdo che non ci si fermi a ragionare e cercare le contromosse per evitare che questo caos rischi di assomigliare agli anni venti e trenta in Europa. C’è una gigantesca sottovalutazione, nel dibattito politico e culturale del nostro tempo.
Io non so se Trump vincerà, alla fine, la nomination repubblicana, come tutto sembra far pensare. Nel campo democratico sta succedendo qualcosa che, in fondo, ha un segno culturalmente in sintonia con i rivolgimenti politici, culturali, antropologici che sto cercando di sottolineare. Un candidato ultrasettantenne, che si è sempre definito socialista, sta incalzando da vicino Hillary Clinton. Sanders agisce contro la sua contendente un argomento tipico di questa fase: la polemica antiestablishment. La Clinton è Washington e Sanders il popolo. Questo è lo schema semplificato del confronto nel campo democratico, il cui esito ora non è affatto scontato. Si dice che si stia aprendo lo spazio per una candidatura indipendente, quella di Bloomberg. Conosco Michael da tempo, siamo stati sindaci di New York e Roma e le nostre due città, allora all’avanguardia nel mondo, hanno collaborato benissimo. Ne conosco il sincero amore per la democrazia e tanto mi basta. Ma se, facciamo l’ipotesi, un candidato indipendente vincesse le elezioni presidenziali e poi si trovasse ostaggio di un Congresso in cui, comunque, sarebbero egemoni i due partiti storici, cosa ne sarebbe della «presidenza imperiale» di cui parlava Arthur Schlesinger? Non voglio prendere in considerazione l’ipotesi che, alla fine, la valigetta nucleare e la più grande potenza mondiale finiscano nelle mani di Donald Trump. Non voglio farlo ma tengo gli occhi aperti. Il mondo, in quel caso, statene certi, sarebbe assai poco petaloso.

sabato 27 febbraio 2016

IPOCRISIE


Sandro Albini
Leggo e sento (nei soliti pollai televisivi) di critiche feroci alla legge sulle unioni civili perché incompleta. A strillare sono i soliti sedicenti "intellettuali" e i commentatori che campano dicendo, dall'alto delle loro insindacabili cattedre, peste e corna di ogni accadimento sul globo terracqueo. Essi sanno bene che non c'erano i numeri per approvare altro da quello che il Senato ha votato. L'alternativa era il nulla, caro ai familidaysti (ma, come sempre, gli estremismi opposti hanno interessi alla fine convergenti). I 5 stelle si mangiano le mani per essere rimasti fuori dai giochi dopo aver fatto tutto il possibile per farlo, invocando alibi stucchevoli (attacco alla democrazia!) come se la democrazia fosse il luogo nel quale si parla a sfinimento e non si decide mai e nel quale le maggioranze possono decidere solo quello che sta bene alle minoranze. Ipocriti anche i sinistri PD quando si stracciano le vesti perché Verdini sostiene i provvedimenti del loro governo. Sono essi, con i loro comportamenti oppositori ad aver evocato la necessità di più ampi sostegni parlamentari ai provvedimenti del governo. Rimango dell'idea di Mao: "Non importa se il gatto è bianco o nero, l'importante è che sia capace di catturare i topi". Cinismo? Forse soltanto realismo davanti agli esempi di inciviltà, villania, inconcludenza,(sono eufemismi, ovviamente) quotidianamente elargiti dai più alti consessi rappresentativi del popolo (del quale amplificano prevalentemente i difetti).

Nichi e il voto di Verdini sulla Cirinnà


Attilio Caso
27 febbraio 2016
"Pippo critica con un post questo vulnus insopprimibile, che incide in modo irreversibile sull'ontologia stessa di questa maggioranza nazarena, epilogo inevitabile di una deriva dariabignardista. Io mi unisco a questo grido di dolore, che lacera il cuore di tutti coloro che credono all'imperativo di fare argine, per affrancare un'idea di sinistra radiosa e, mi azzardo a dire, "bellosa". Ho sentito uno straordinario fremito nell'apprendere la notizia di Matteo e del suo aggettivo "petaloso". Matteo, questo bimbo che ci guarda e che rappresenta il futuro di un paese che, se non cambia, sarà condannato indiscutibilmente ad un arido e diseredato futuro, riarso dalla lancinante deriva verdinista, che già con profetico rigore e in modo sublime era stata immortalata dal maestro Nanni Moretti con la sua ormai inverata profezia: "Te lo meriti, Alberto Sordi!" 
Ora, mi incammino verso la via del cambiamento, che si vuole diversa e migliore, la possibilità di un'isola in cui Pippo, Stefano ed io discuteremo con Lucia, Norma, Roberto, Miguel e Lilli della soffocante cappa neoliberista: lo faremo a casa di Luciano. Egli ha messo alla prova le dottorande, che nell'ambito del loro progetto di ricerca filologica, prepareranno fave e cicoria al profumo di macchia mediterranea. Roberto porta l'Aglianico."

venerdì 26 febbraio 2016

batti un cinque

Un piccolo migrante tratto in salvo e un membro dell'equipaggio si danno il cinque nel porto di Augusta

Pippoidea


Attilio Caso
Pippo Civati ha commentato così il voto in Senato sulla Legge sulle Unioni Civili: "Il vostro Affezionatissimo è allibito rispetto a questa ennesima conseguenza del Patto del Nazareno. Unioni civili verdinose si prospettano in questo paese. Del resto, se solo avessero voluto ascoltarci, non avremmo certo questa legge: saremmo tornati a votare almeno altre due volte negli ultimi tre anni, non avremmo un governo e lo spread sarebbe intorno ai 500 punti base, così i grandi esegeti del debito di Padoan avrebbero molto più lavoro da fare. Ma volete mettere che meraviglia tutto questo parlare che faremmo? E che sublime gioco della rappresentanza senza governabilità staremmo celebrando? Altro che legiferare e governare, come colpevolmente fa Speranza da anni, per poi lamentarsi. Ora, la legge arriverà alla Camera. Io non la voterò: ho lezione di judo nei momenti importanti."

giovedì 25 febbraio 2016

Unioni civili: un passaggio storico

Stefano Ceccanti
" Dal punto di vista politico, di per sé, il fatto che la maggioranza di governo esprima una linea chiara non dovrebbe poter precludere ulteriori consensi. Essi si sarebbero conseguiti sul merito se non si fosse ricorsi alla fiducia. Tuttavia il comportamento politico parlamentare non affidabile di alcune forze, unita all’intreccio tra le eccessive possibilità di voto segreto e il bicameralismo ancora paritario, rendevano impossibile rinunciare in questo caso a tale strumento. Per questo, pur con questo limite, il passaggio resta storico."

mercoledì 24 febbraio 2016

La Corte boccia la legge razzista di Maroni. E Salvini sbrocca


Stefano Cagelli
L'Unità 24 febbraio 2016
Dopo i ripetuti scandali che stanno minando la credibilità della Regione, i vertici della Lega scivolano su un’altra mossa da dilettanti allo sbaraglio
A Maroni e Salvini non ne va proprio bene una. Dopo gli scandali che stanno minando le fondamenta della giunta regionale leghista con la costanza di una “goccia cinese”, da Mantovani a Rizzi, da Garavaglia allo stesso governatore, è arrivata un’altra brutta notizia per quelli che una volta si definivano i lumbard: la Consulta ha bocciato, senza lasciare spazio a molte interpretazioni, l’assurda legge anti-moschee ideata proprio da Maroni per rendere praticamente impossibile la costruzione di luoghi di culto per i cittadini di fede islamica.
Una decisione scontata, non c’era bisogno della Consulta per capire che questa legge fosse, per troppi aspetti, incostituzionale. I 15 giudici della Corte, riuniti ieri in camera di consiglio, hanno preso la decisione all’unanimità, in una seduta anche piuttosto breve, condividendo l’impostazione del giudice relatore Marta Cartabia. Una decisione che fa gridare allo scandalo gli alti quadri leghisti, in primis il segretario Matteo Salvini, che perde la testa: “Abbiamo una consulta islamica, non italiana, che è complice dell’immigrazione clandestina. E’ vergognoso”. Una reazione in piena linea con il Salvini-pensiero: volutamente spropositata, di pancia, del tutto inappropriata e priva di ogni collegamento con la realtà.
E’ il febbraio 2015 quando la Regione Lombardia vara la sua legge contro le moschee e soprattutto contro la possibilità di costruirne di nuove. Una risposta all’amministrazione milanese di Giuliano Pisapia che nel frattempo aveva bandito il concorso per tre nuove chiese non cattoliche. La legge leghista è sostanzialmente un elenco di ostacoli che dovrebbero frapporsi alla costruzione di nuove moschee: limitazioni all’altezza dei campanili (in questo caso si chiamerebbero minareti), nessuna architettura che possa entrare in conflitto con il panorama lombardo (i grattacieli?), obbligo dell’impianto di videosorveglianza, valutazione di impatto ambientale e la possibilità di un referendum tra i cittadini per verificarne il loro effettivo gradimento.
Davanti ad un’iniziativa che minaccia così esplicitamente la libertà di culto, frutto dell’improvvisazione e della foga di pochi dilettanti allo sbaraglio, il governo Renzi è costretto a impugnare subito la legge davanti alla Consulta. Nonostante le proteste di Maroni, il governo tira dritto e si arriva così alla sentenza del 23 febbraio. Una bocciatura più che prevedibile che dimostra l’inadeguatezza di una giunta quotidianamente al centro di episodi che gettano cattiva luce sulle istituzioni. Un’altra prova di miopia politica senza precedenti. “Un ulteriore tassello – spiega il capogruppo del Pd in consiglio regionale Enrico Brambilla – che si somma alla lista delle motivazioni che martedì prossimo ci spingeranno a chiedere le dimissioni di Maroni”.

martedì 23 febbraio 2016

sms stellati

“Ok, stasera il mio gruppo di lavoro sul tuo ddl ha raggiunto ufficiosamente l’accordo di votare il Marcucci sia integro che spacchettato… Ovviamente mancheranno due-tre voti nostri per la lettera F sulla step ma gli altri ci sono. Domattina abbiamo la riunione di gruppo che ratificherà la decisione…. Fino ad allora tienitelo per te. MI RACCOMANDO, poi domattina lo diremo noi ufficialmente… Grazie, in bocca al lupo anche a te”.
Questo è il testo del messaggio inviato a Monica Cirinnà dal gruppo dei senatori del M5S la sera prima della discussione in aula della legge sulle unioni civili.
Poche ore dopo, com’è noto, i grillini cambiavano idea.

Cosmopolitica, ma che vuol dire?


Chicco Testa
L'Unità 23 febbraio 2016
Come al tempo degli indiani metropolitani le uniche due cose che non contano sono “che cosa vuol dire” e “a che cosa serve”
“La sinistra vince sulla tecnica e sul marketing se si trasforma in connessione sentimentale, in racconto performante capace di incidere sui bisogni, capace di mettersi in ascolto dei desideri”. Non so chi abbia scritto materialmente queste limpide parole, contenute in uno dei documenti preparatori dell’assemblea chiamata “Cosmopolitica”’, da cui dovrebbe nascere la nuova super sinistra italiana. Un po’ Deleuze / Guattari, un po’ D’ Annunzio, un po’ Nietzsche, un po’ Casaleggio. Manca solo la “macchina desiderante e libertaria”. Come al tempo degli indiani metropolitani le uniche due cose che non contano sono “che cosa vuol dire” e “a che cosa serve”. E per fortuna in un altro punto del documento si scrive che “al centro della scena non possono stare parole svuotate di senso” . Naturalmente non manca la “’piattaforma digitale “e la lotta alla casta, ‘portata avanti’ con grande rigore da parlamentari e consiglieri, che tali sono praticamente dalla nascita.
C’è già stato un leader in Italia che ben aveva capito cosa era la macchina desiderante e la connessione sentimentale. Si chiama Silvio Berlusconi, abilissimo nel sostituire la realtà con un mondo virtuale, il Parlamento con la Tv. L’unico vero erede dell’immaginazione al potere. “Schizoanalisi” avevano battezzato questo fantasmagorico scoppiettio di parole, negli anni ‘ 70, i nuovi filosofi francesi nel tentativo, mica tanto riuscito, di distruggere l’inconscio e il povero Freud. Ci riprova la super sinistra qualche decennio dopo, ma non sono sicuro che la seduta psicoanalitica di Cosmopolitica abbia centrato l’obbiettivo.

domenica 21 febbraio 2016

A che ora inizia la rivoluzione?


Fabrizio Rondolino
L'Unità 21 febbraio 2016
Come rifare la sinistra più a sinistra della sinistra con il ceto politico di sempre.
Chissà a chi è venuto in mente di chiamarla “Cosmopolitica”, e perché. Cosmonauti erano gli astronauti sovietici, che partivano dal cosmodromo di Bajkonur cercando invano di arrivare sulla Luna prima degli americani. Oggi la Luna è più vicina, il desiderio più prossimo: rifare per l’ennesima volta la sinistra-più-a-sinistra della-sinistra (un’operazione cosmetica, dacché il ceto politico è sempre lo stesso), sconfiggere il Pd, disarcionare Renzi. Poi si vedrà: forse edificare finalmente il socialismo in un paese solo, forse ritornare in Parlamento nonostante il fascistissimo Italicum (è sufficiente il 3%).
Fatto sta che “Cosmopolitica” è il titolo del convegno che si concluderà oggi con l’intento di avviare la “fase costituente” del nuovo partito – provvisoriamente intitolato “Sinistra italiana” – che, a dicembre, dovrà raggruppare la maggioranza di Sel oggi controllata da Nicola Fratoianni (la minoranza è nel Pd da tempo) e una parte della minoranza del Pd, quella che fa capo a Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre, con la benedizione (e la malcelata aspirazione alla leadership) di Sergio Cofferati e in attesa che i Bersani e i D’Alema si decidano a compiere il grande passo. Mancano però all’appello il partito di Pippo Civati, “Possibile”, e Rifondazione comunista, di cui peraltro Sel è stata una costola. Di un’altra costola di Rifondazione, il Partito dei comunisti italiani, sembrano essersi perse le tracce. In compenso il Partito comunista di Marco Rizzo corre da solo per il Campidoglio. Il campo dei rivoluzionari è dunque assai affollato, e assai più diviso che in passato: un motivo in più per “aprire un processo costituente – spiega Fratoianni – con l’obiettivo, entro l’anno, di arrivare al congresso fondativo di un’unica forza politica”.
La “Leopolda con l’eskimo”, secondo la felice definizione dell’Huffington Post, era iniziata con una giornata di riflessione nel corso della quale professori, giornalisti e sindacalisti si sono avvicendati a spiegare quanto il mondo sia orribile e destinato a peggiorare ancora, secondo il modello retorico del marxismo scolastico, che invocava ad ogni sospiro il crollo inevitabile del capitalismo. Il catastrofismo è parte essenziale della subcultura che ha attraversato la sinistra dal ’68 in poi (e che il Pci ha sempre strenuamente combattuto in nome di Marx e soprattutto di Gramsci); ne consegue che i problemi non possono e non debbono essere risolti, perché il bene è nemico del meglio e la concretezza è nemica dell’utopia. L’esito, inevitabile, è il romanticismo rivoluzionario: “La sinistra vince sulla tecnica e sul marketing – si legge nel documento preparatorio di “Cosmopolitica” – se si trasforma in connessione sentimentale, in racconto performante capace di incidere sui bisogni, capace di mettersi in ascolto del desiderio”. Ieri l’assemblea si è divisa in 24 gruppi tematici, e oggi tornerà in seduta plenaria per la discussione politica: “Si parte, per cambiare l’Italia”. Per cominciare, però, bisogna cambiare il Pd: anzi, abbatterlo. Tutte le battaglie dei prossimi mesi hanno infatti come unico obiettivo il partito di maggioranza: referendum anti-trivelle, candidati alternativi al Pd in tutte le maggiori città (anche a Milano, se prevarrà la linea di Fratoianni e Cofferati), promozione di due referendum abrogativi del Jobs act e della Buona scuola, “no” al referendum sulle riforme costituzionali. Resta da capire chi farà il leader, cioè come si comporrà l’equilibrio non facile fra quel che resta di Sel e la pattuglia di ex-Pd, e se la spunterà Fratoianni o Fassina. Ma è in piena attività anche Cofferati, forte di una carta esclusiva: l’età. Già, perché i nuovi miti della nuova sinistra sono due vecchietti, Corbyn e Sanders, e così l’ex leader della Cgil può sorridere soddisfatto: “Nulla va mai escluso”. “A che ora è la rivoluzione, signora? – chiedeva Vittorio Gassman a Stefania Sandrelli in una strepitosa scena della Terrazza – Come si deve venire? Già mangiati?”

venerdì 12 febbraio 2016

bocca di rosa


Renzi e Grasso respingono l’ingerenza di Bagnasco: “Sul voto decide il Parlamento”


L'Unità 12 febbraio 2016
Il capo dei vescovi italiani ieri aveva sostenuto l’opportunità del voto segreto sul ddl Cirinnà
“Ci auguriamo tutti che il dibattito in Parlamento e nelle varie sedi istituzionali sia ampiamente democratico, che tutti possano esprimersi e vedere considerate le loro obiezioni e che la libertà di coscienza di ciascuno su temi così delicati e fondamentali per la vita della società e delle persone sia non solo rispettata ma anche promossa con una votazione a scrutinio segreto“. Lo ha detto il presidente della Cei e arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco, commentando l’iter parlamentare del ddl Cirinnà sulle unioni civili.
“Lo decide il Parlamento, non la Cei” è la risposta del premier Matteo Renzi, a Radio Anch’io. “A me personalmente piacerebbe, in generale, che ogni parlamentare rispondesse del proprio voto – ha aggiunto Renzi -. Dopodiché sul voto segreto o no decide il Parlamento e non la Cei, con tutto il rispetto per il cardinal Bagnasco”.
“E’ una legge sacrosanta e finalmente ci siamo – ha detto parlando ancora del ddl Cirinnà -. Che paura possono fare due persone che si amano? Perché lo Stato deve impedire loro di avere dei diritti? Trovo che il Paese e il Parlamento su questo siano nettamente a favore” ha dichiarato ancora il premier che parlando della stepchild adoption ha aggiunto: “Esiste già in forme stabilite per via giudiziaria per 5-600 bambini in Italia. E’ un punto delicato, aperto. E’ fondamentale che ci sia una discussione seria, bisogna smettere di utilizzare questo tema come specchietto per le allodole in campagna elettorale”.
Alle parole di Bagnasco ha replicato stamattina anche l’unico soggetto titolato a decidere sulla concessione o meno del voto segreto, ossia il presidente del Senato. “Mi pare che si possa dire che io rispetto tutte le opinioni nel merito – ha detto Pietro Grasso –  ed è giusto che ognuno le possa esprimere; c’è la libertà di espressione. Però sulle procedure penso che ci sia la prerogativa delle istituzioni repubblicane di decidere“.
Già ieri la vicepresidente Valeria Fedeli si era detta “stupita” della presa di posizione del presidente della Cei: “Il dibattito e la modalità del dibattito in Senato – ha ricordato – sono decisi dal presidente del Senato e dal regolamento”.
E’ intervenuto sull’argomento anche il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento Luciano Pizzetti: “Le esortazioni sono giuste e condivisibili – ha dichiarato – ma come regolare il dibattito del Senato lo decide il presidente del Senato. Non il presidente della Cei”.
Dello stesso avviso anche Ivan Scalfarotto. “Nessuno deve tirare per la giacchetta il presidente Grasso” – avverte il sottosegretario alla riforme Costituzionali – “Sarebbe bene che tutti rispettassero le prerogative del Presidente del Senato in maniera assoluta”.
Ad approfittare dell’assist di Bagnasco, c’è invece l’altro vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, che addirittura lo invita a scrivere una lettera a Grasso. “Mi auguro che il presidente del Senato rifletta bene sulle parole del cardinale Bagnasco e, se ciò non bastasse, – si augura il senatore leghista – spero che sia lo stesso Bagnasco a scrivere una lettera al presidente Grasso sui voti segreti”
L’intervento a sorpresa del presidente della Cei arriva in un clima di forte tensione sia in Parlamento, che all’interno dello stesso Pd. Ieri, durante l’assemblea dei senatori democratici, l’area cattolica ha suscitato un malumore evidente tra i colleghi. Un segnale di nervosismo che potrebbe incendiare i rapporti alla più minima sollecitazione, anche tenendo conto delle difficoltà che l’iter della legge sta incontrando, per l’ostruzionismo della Lega.
Su Twitter, invece, lo scambio di battute tra il senatore di Ap Roberto Formigoni e la senatrice dem Monica Cirinnà, la quale chiede il rispetto dell’articolo 1 del Concordato che recita: “La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.

mercoledì 10 febbraio 2016

Un dibattito fuori dalla Storia


Massimo Gramellini
La Stampa 10 febbraio 2016
Da oggi il Senato si esprime sulle unioni civili e si divide sull’adozione del figliastro, che gli ossessionati dall’inglese chiamano stepchild adoption. Renzi, qui in versione di sinistra, ha deciso di non stralciarla dal disegno di legge Cirinnà, affidando la responsabilità di una eventuale bocciatura ai cattolici intransigenti del suo partito e a quelli del movimento Cinquestelle, cui Grillo ha lasciato libertà di coscienza. 
Il rispetto per la buona fede di chi avversa l’adozione del figliastro è fuori discussione. Accanto agli opportunisti, ai moralisti incoerenti e ai talebani, la piazza del Family Day ospitava tante persone che sono sinceramente e profondamente convinte che i figli possano crescere solo con genitori di sesso diverso. Riconoscono che le famiglie cosiddette naturali non siano esenti da disfunzioni in grado di dare lavoro a psicanalisti e cronisti di nera, ma difendono il principio della loro unicità.  
E in nome di quel principio ritengono giusto vietare l’estensione di certi diritti, cioè di certe possibilità, ad altri esseri umani.  
I fautori della conservazione parlano, però, come se il disegno di legge in votazione al Senato plasmasse dal nulla una nuova realtà. Non è così. La «Cirinnà», con grave ritardo rispetto al resto d’Europa, si limita a regolare una situazione già esistente. In Italia ci sono centinaia di creature con un solo genitore biologico che ha un compagno o una compagna del suo stesso sesso. Cosa succederebbe se il genitore morisse e l’adozione del figliastro da parte del partner non entrasse in vigore? Che quei bambini e adolescenti verrebbero strappati alla famiglia che li ha cresciuti e ributtati sulla giostra degli orfanotrofi.  
Prima di dare qualsiasi risposta è sempre utile capire quale sia la domanda. E qui la domanda è: quei bambini vanno tutelati, sì o no? Se uno ha la forza di dire no, ha una posizione diversa dalla mia - il che può essere un titolo di merito - ma anche da quella della stragrande maggioranza delle nazioni occidentali, dove l’adozione del figliastro è da tempo un’ovvietà che non ha affatto disintegrato la famiglia tradizionale, tanto è vero che in quei Paesi nascono molti più figli che nel nostro. E forse nascono perché l’attenzione verso la famiglia tradizionale si esprime in politiche fiscali e servizi sociali adeguati. Non limitandosi a impedire ad altre famiglie di esistere. 
La contrapposizione tra guelfi e ghibellini del sesso è fuori dalla Storia e ormai anche dalla cronaca. In una democrazia i diritti non si elidono, si aggiungono. Concederne alle coppie gay non significa sottrarne a quelle etero. Significa prendere atto della vita vera e delle sue diversità. Avendo coscienza che certi processi sono ineluttabili e vanno solo armonizzati e regolati. La macchina dei diritti civili prevede il freno, ma non la retromarcia.

martedì 9 febbraio 2016

I nuovi consigli di Travaglio alla sinistra per suicidarsi


Fabrizio Rondolino
L'Unità 9 febbraio 2016
Persa la battaglia contro Sala, ora il direttore del Fatto si lancia in nuove mirabolanti avventure. Che perderà
Com’è noto a tutti, milanesi inclusi, il Fatto conduce da molti mesi una forsennata campagna contro Giuseppe Sala, dapprima colpevole di aver fatto dell’Expo un successo mondiale, e in seguito reo di renzismo acuto in virtù della sua candidatura a sindaco di Milano. Non c’è dunque da stupirsi se Sala ha vinto le primarie: quando il Fatto si butta da una parte, la società civile si ammassa dall’altra.
Che fare ora? Tramontato il tentativo di dare la colpa ai cinesi (oggi Travaglio si arrampica a sei zampe sugli specchi per dare addosso al segretario del Pd milanese, salvo poi essere costretto ad ammettere che “qui nessuno dice che Sala ha vinto grazie ai cinesi”), sembra affermarsi una lettura diciamo così politico-esistenziale della gloriosa sconfitta, da attribuirsi alle “sconfinate virtù suicide della sinistra” (Travaglio), perché “se Balzani e Majorino non si fossero divisi, avrebbero sconfitto il candidato renziano” (Padellaro). Naturalmente non è affatto così, e uno studente particolarmente ottuso del primo anno di Scienze politiche potrebbe agilmente spiegare ai raffinati analisti del Fatto che i voti non si sommano mai meccanicamente, tanto meno in un’elezione primaria: ma che importa, ora bisogna guardare al futuro.
E anche qui Travaglio ha le idee chiare: “Liste rosse contro il Partito della Nazione” è il titolo di prima pagina che indica la linea su cui si consumerà la prossima inesorabile sconfitta. Le “sconfinate virtù suicide della sinistra” tanto care a Travaglio potranno dunque esercitarsi a Milano, dove Pippo Civati preannuncia un candidato “scelto dalle associazioni e dai partiti di sinistra, da Rifondazione fino ai socialisti”, e a Roma, dove un esilarante Marino annuncia pimpante “la mia lista rossa contro Renzi & Alfano”.
La sconfitta, come il Fattone è in grado di anticipare, sarà rovinosa, e la ragione è piuttosto semplice: al suicidio, a parte i cassamortari, un po’ tutti preferiscono la vita.

lunedì 8 febbraio 2016

Il mito delle due sinistre


Paolo Natale
8 febbraio 2016
Dimenticatevi di Renzi, del Partito della Nazione, della politica nazionale. Nelle primarie milanesi la domanda che si poneva il popolo di centro-sinistra era: chi vogliamo diventi il nuovo sindaco di Milano? Non è una domanda difficile, non sottintende involute analisi su quanto questa scelta possa avere riflessi sullo scacchiere mondiale. In fondo, Milano è pur sempre Milano, non ancora il centro del mondo politico.
Bisogna saper distinguere tra i cittadini e i politici, o gli attivisti politici. I primi non si curano (molto) delle conseguenze delle loro scelte. Guardano le facce, sentono le parole, decidono chi piace di più e votano di conseguenza. Nel 2010, alle scorse primarie, il candidato del Pd era Boeri, quello di Sel era Pisapia. La maggioranza dei votanti era ovviamente legata al Pd (ed era il partito di Bersani, non scordiamolo). Molti studiosi di politica, e molti attivisti politici, ritenevano che una vittoria di Pisapia sarebbe stata esiziale per la competizione successiva, contro Letizia Moratti. Pisapia sta troppo a sinistra, può non farcela contro il sindaco uscente. Mille politologi si impegnavano a sottolineare che le chance di Boeri sarebbero state infinitamente superiori.
Ciononostante, gli elettori di quelle primarie scelsero il candidato tendenzialmente più debole, contro il candidato del Pd (ed era il partito di Bersani, non scordiamolo). Perché lo fecero? Era un segnale diretto contro il Pd (di Bersani)? Era la manifestazione che il popolo delle primarie era più a sinistra del Pd (di Bersani)? Erano masochisti? Avevano abbracciato il Sel di Nichi Vendola? Probabilmente, e semplicemente, scelsero Pisapia, anche quelli che poi avrebbero votato Pd alle comunali, perché piaceva di più, dava maggior affidamento per il governo di Milano, era più simpatico, se lo sentivano più vicino. Tutte queste ragioni condite insieme portarono alla scelta dell’avvocato, contro l’architetto. E poi, lo sappiamo, Pisapia vinse anche contro Moratti, al ballottaggio. Sì, è vero, Boeri avrebbe vinto al primo turno, con ogni probabilità, ma gli elettori delle primarie non se ne sono curati. Piaceva di più Pisapia, e l’hanno votato.
Non sono scienziati politici, gli elettori delle primarie (che infatti i primi chiamano “selettori”, tanto per rimarcare la differenza tra i politologi e i cittadini). Votano uno o l’altro perché gli piace di più, non per fare un dispetto o un favore a Renzi, o per fare un dispetto o un favore a Bersani. E non si sentono né più di sinistra se votano Pisapia nè più di destra se votano Sala. Semplicemente, Sala in questa occasione è piaciuto di più, come Pisapia era piaciuto di più nel 2010. Nella classica scala che misura la dimensione sinistra-destra, i votanti delle primarie di allora si posizionavano più o meno allo stesso modo di quelli di oggi. E, tra l’altro, sono quasi gli stessi. Oltre l’85% di chi è andato a votare ieri a Milano era andato anche nelle precedenti primarie, votando in prevalenza Pisapia. Sala, secondo una buona fetta di “selettori”, è più adatto a guidare Milano, rispetto a Balzani o Majorino. Così come, allora, Pisapia era considerato un miglior sindaco rispetto a Boeri o Onida. Non è difficile da capire. La realtà è semplice, gli “agitatori” politici cercano di renderla più complessa, ma sono loro ad essere confusi, non gli elettori.
Come nella barzelletta delle due sinistre, che (sapete) circola frequentemente in queste ore. Balzani con Majorino, o viceversa, avrebbero fatto vincere la sinistra contro la destra di Sala e Renzi. In un sondaggio effettuato da Ipsos a poche ore dal voto, è stato chiesto a votanti di Balzani chi avrebbero votato in assenza dell’attuale vice-sindaco. Risultato? Il 51% avrebbe scelto Sala, il 37% Majorino, gli altri incerti. Ecco: il “selettore” ragiona così. Il resto è confuso chiacchiericcio.

il fastidio degli avversari....la bellezza delle primarie


«I social media sono una trappola», parola di Zygmunt Bauman


Ilaria Mauri
Zygmunt Bauman ha appena festeggiato il suo 90° compleanno, ma riesce ancora a esprimere le sue idee con calma e in modo chiaro, prendendosi tempo con ogni risposta perché odia dare risposte semplici a domande complesse. Da quando ha sviluppato  la teoria della modernità liquida alla fine del 1990 – che descrive la nostra epoca come quella in cui «tutti gli accordi sono temporanei, fugaci  e validi solo fino a nuovo avviso» – è diventato una figura di spicco nel campo della sociologia. In un’intervista al quotidiano spagnolo El Paìs ha espresso il suo scetticismo sull’uso dei social media in ambito politico.
Lei è scettico riguardo al modo in cui la gente oggi protesta attraverso i social media, il cosiddetto “attivismo da poltrona”, e sostiene che internet ci riempie la testa con contenuti scadenti. Dunque, secondo lei i social media sono il nuovo oppio dei popoli?
Il fatto è che l’identità è passata dall’essere qualcosa con cui si nasce a qualcosa da costruire: è necessario crearsi la propria comunità di riferimento. Ma le comunità non sono un’invenzione, o appartieni loro o ne sei fuori. Ciò che i social network possono creare è solo un surrogato.
La differenza tra una comunità e una rete è che a una comunità si appartiene, mentre una rete appartiene a voi. Se ne ha il controllo. Si possono aggiungere amici quando lo si desidera ed è possibile eliminarli allo stesso modo. Si tengono sott’occhio le persone con cui ci si vuole relazionare.
Il risultato è che tutto questo fa stare bene la gente, perché la solitudine, l’abbandono, è la paura più grande che affligge la nostra epoca individualistica. Ma è così facile aggiungere o rimuovere gli amici sui social media che le persone dimenticano le regole del comportamento sociale, necessarie quando si va per strada, al lavoro, o quando ci si trova costretti ad instaurare una relazione empatica con le persone che ci stanno attorno. Papa Francesco, che è un grande uomo, ha rilasciato la sua prima intervista dopo essere stato eletto a Eugenio Scalfari, giornalista italiano che è anche un ateo autoproclamato.
Era un segno: il vero dialogo non è parlare con persone che credono nelle tue stesse cose. I social media non ci insegnano a dialogare perché in quel mondo è facile evitare le polemiche, quando lo si desidera. La maggior parte delle persone utilizza i social media non per collegarsi e neppure per ampliare i propri orizzonti, ma, al contrario, per rinchiudere sé stessi in una comfort-zone in cui gli unici suoni sono gli echi della loro voce e  le uniche cose che vedono sono i riflessi del proprio volto. I social media sono molto utili e piacevoli, ma sono una trappola. La maggior parte delle persone utilizza i social media non per ampliare i propri orizzonti ma per rinchiudere sé stessi in una comfort-zone
Ha descritto la disuguaglianza come una “metastasi”. È la democrazia a essere a rischio?
Potremmo descrivere ciò che sta accadendo in questo momento come una crisi della democrazia, il crollo della fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni: la convinzione che i nostri leader non siano solo corrotti o incompetenti,  ma addirittura inetti. L’azione richiede energia per essere in grado di fare le cose, e noi abbiamo bisogno della politica, che è la capacità di decidere cosa deve essere fatto. Ma l’idillio tra il potere e la politica nelle mani dello Stato nazionale si è rotto.  
Il potere ha assunto dimensioni globali mentre la politica ha mantenuto la sua dimensione locale ed è rimasta fregata. La gente non crede più nel sistema democratico  perché non mantiene le sue promesse . Lo vediamo, ad esempio, con la crisi migratoria: è un fenomeno globale, ma noi ci comportiamo ancora con spirito campanilistico. Le nostre istituzioni democratiche non sono state progettate per affrontare situazioni di interdipendenza  e l’attuale crisi della democrazia è una crisi proprio delle istituzioni democratiche.
Adesso cosa pesa di più sulla bilancia: la libertà o la sicurezza?
Si tratta di due valori tremendamente difficili da conciliare. Per avere più sicurezza, bisogna rinunciare in parte alla libertà; se si vuole più libertà, inevitabilmente si ridurranno le misure di sicurezza. Questo dilemma sarà eterno. Quarant’anni fa eravamo convinti che la libertà avesse trionfato e abbiamo dato il via a un’orgia di consumismo. Tutto sembrava possibile, bastava solo un prestito di denaro: automobili, case… Ogni desiderio era realizzabile senza doverlo pagare subito.  La crisi migratoria è un fenomeno globale ma noi ci comportiamo ancora con spirito campanilisticoIl campanello d’allarme è scattato nel 2008, un anno amaro, quando i finanziamenti erano finiti e le casse prosciugate. La catastrofe, il collasso sociale che ne è seguito,  ha colpito in particolar modo le classi medie, trascinandole in quella situazione di precarietà in cui versano tuttora: non sanno se la loro azienda stia per essere acquisita o se saranno licenziati, non hanno nemmeno la certezza che ciò che hanno comprato a rate finora gli appartenga davvero. Il conflitto non è più tra le classi sociali, ma tra i singoli individui e la società. Non è solo una questione di mancanza di sicurezza, ma di mancanza di libertà.
Lei dice che ora il progresso è un mito, perché la gente non crede più che il futuro sarà migliore del passato.
Siamo in un periodo di interregno tra un momento in cui abbiamo avuto certezze e un altro in cui i vecchi modi di fare le cose non funzionano più. Non sappiamo cosa ci toccherà prossimamente. Stiamo sperimentando nuovi modi di fare le cose. La Spagna ha cercato di mettere in discussione questo stato di fatto con il movimento 15 Maggio (15M), quando la gente è scesa nelle piazze per discutere e confrontarsi,  nel tentativo di sostituire le procedure parlamentari con una sorta di democrazia diretta. Ma non è durato a lungo. Le politiche di austerità continueranno, nessuno le potrà fermare, ma queste persone potrebbero rivelarsi ancora vincenti nel trovare un nuovo modo di affrontare le questioni politiche.  
Lei sostiene che fenomeni come gli ‘Indignados’ o il movimento internazionale ‘Occupy’ sanno “come spianare la strada, ma non il modo per creare qualcosa di solido”.
Quando scende in piazza, la gente è disposta a mettere da parte le differenze in vista di un obiettivo comune. Se questo obiettivo è negativo, come ad esempio contestare qualcuno, ci sono più possibilità di successo. In un certo senso potrebbe essere vista come un’esplosione di solidarietà, ma la caratteristica di un’esplosione è di essere molto potente ma di breve durata.

sabato 6 febbraio 2016

Grillo perde la bussola (e la faccia)


Mario Lavia
L'Unità 6 febbraio 2016
Incredibile dietrofront: si saprà chi ringraziare se la legge dovesse essere affossata.
Come un partito della Prima repubblica, a pochi giorni dalle citazioni sul ddl Cirinnà Beppe Grillo si è fatto vivo sul suo blog per lanciare un missile: dietro la (per loro inusuale) libertà di coscienza – finora chi votava in modo difforme veniva cacciato – Grillo strizza un occhio a quella parte di elettorato che non vede la legge, e in particolare la stepchild option, di buon’occhio.
In teoria nulla di male: almeno così abbiamo capito che una cultura politica moderna e attenta ai nuovi diritti, il M5S non c’entra niente. È molto triste, ma è un chiarimento.
In pratica, malissimo: questo è un chiaro dietrofront (l’hashtag #dietrofrontM5S sui social va forte) rispetto alla posizione dura e pura tenuta fin a oggi: votiamo la legge Cirinnà solo se non cambia. Un dietrofront che rischia di affossare una buona legge.
Hanno cambiato idea loro. Via libera a chi voterà contro. La seconda incredibile scelta in pochi giorni, dopo il no ad una legge sacrosanta come quella a fare dei disabili. Bisognerà ricordarsene.

lunedì 1 febbraio 2016

Chiarito il mistero dei rolex regalo a Palazzo Chigi, è la solita “grillata”


Fabrizio Rondolino
L'Unità 30 gennaio 2016
Il testimone: “Lo riportai a Palazzo Chigi insieme all’avvocato e al senatore grillino”
Un numero imprecisato di Rolex e di “cronografi di altre marche, ma comunque costosi”, è tenuto nascosto da Matteo Renzi in una località imprecisata – chi dice nei sotteranei di palazzo Chigi, chi nella soffitta di Rignano sull’Arno, chi al sicuro in un caveau predisposto da Verdini – e, nonostante gli sforzi eroici del Fatto per ristabilire finalmente la verità dei fatti, continua a sfuggire alle ricerche e alle indagini dei più accreditati servizi segreti.
L’incredibile vicenda, al cui cospetto piazza Fontana e Ustica sono fiabe per ragazzi, tiene banco da settimane sul giornale di Marco Travaglio, per la delizia dei suoi avidi lettori e di tutti gli appassionati di misteri d’Italia. Ieri, a sorpresa, ha rivelato la sua identità il misterioso «pentito dei Rolex» che lo scorso 20 gennaio, spezzando un’imbarazzante omertà e a rischio della vita, aveva raccontato al Fatto «ulteriori dettagli sui fatti di Ryad».
Il nuovo, esilarante capitolo delle malefatte renziane si svolge infatti in Arabia Saudita, nel corso della visita ufficiale dello scorso novembre. Alla delegazione italiana vengono offerti in dono numerosi orologi, e fra la scorta del premier e alcuni funzionari del Cerimoniale scoppia un diverbio sull’assegnazione dei regali. L’indomani Ilva Sapora, il capo del Cerimoniale, «ha tentato di recuperare i regali – raccontava “il pentito dei Rolex” – ma non in maniera formale. Ha rifiutato di predisporre un documento per certificare la restituzione dei cronografi».
L’operazione recupero sembrerebbe però riuscita soltanto a metà, perché, assicurava il pentito, «ci sono molti Rolex ancora in giro». E Renzi che c’entra? Niente: «Il fiorentino non interviene», scriveva dieci giorni fa il Fatto. Ma siccome questi benedetti Rolex sono finiti almeno in parte a palazzo Chigi – lasciarli a Ryad, anche Travaglio sarà d’accordo, sarebbe stato maleducato – se ne dovrebbe dedurre che Renzi ne ha fatto incetta, e che da qualche parte c’è un forziere che li contiene. Ieri il “pentito dei Rolex” s’è presentato con nome e cognome: è Reda Hammad, egiziano con passaporto italiano, e dal 2001 lavora occasionalmente come interprete arabo per palazzo Chigi. Anche lui era a Ryad, e anche lui ha ricevuto un bel Rolex.
Quando il capo del Cerimoniale gli ha chiesto, dopo lo sgradevole parapiglia della sera prima, di consegnargli il prezioso cronografo, l’astuto Hammad ha subito sentito puzza d’imbroglio e, racconta, «ho proposto di darmi una richiesta scritta e una ricevuta a consegna avvenuta, per proteggermi». Da che cosa volesse proteggersi il timoroso Hammad non è chiaro: la proposta però viene respinta e l’interprete rientra a Roma con il suo bell’orologio. Qualche giorno dopo scrive un’email alla Sapora riproponendole la consegna dell’ostaggio, e riceve in cambio la telefonata di un funzionario che gli annuncia, minaccioso, che non avrebbe più ricevuto incarichi da palazzo Chigi. Il regime, si sa, è spietato. E siccome l’affare s’ingrossa, il coraggioso Hammad decide di metterlo in mano all’avvocato. Passano le feste, e l’avvocato scrive una «lettera raccomandata» al Diprus, l’ufficio che gestisce i regali di Stato.
Alle lettere raccomandate neppure il governo riesce a resistere, e l’intrepido Hammad viene infine ricevuto negli uffici della presidenza del Consiglio, dove mercoledì 27 gennaio, non prima di aver scattato alcune istantanee scrupolosamente pubblicate ieri dal Fatto, consegna infine il suo fantastico Rolex. Non sappiamo se Renzi se n’è già impossessato, ma sappiamo che l’eroico Hammad non è andato da solo al Diprus: con lui c’erano l’avvocato autore della micidiale «lettera raccomandata» nonché un nuovo, inaspettato protagonista della vicenda: il senatore Nicola Morra del Movimento 5 stelle. E così il mistero si chiarisce: pensavamo ad un intrigo internazionale, ad un traffico di oggetti preziosi, ad una grave violazione etica e invece è la solita grillata.